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  • bompiani

Dieter


Giovedì scorso è morto a Roma, dove viveva da più di mezzo secolo, limpido e segreto, un pittore tedesco, Dieter Kopp.

L’ho conosciuto una mattina a piazza Navona, al bar da noi detto ‘Sciagura’ perché vi arrivavano gli ‘sciagurati’, e molti si sedevano con noi, cioè intorno alla sedia di Elsa Morante.

Io ero seduta sull’orlo del marciapiede, verso la piazza. Si avvicinò, col suo passo lento e ‘incordato’ (una bambina di cinque anni camminava un metro dietro di lui) un uomo bello, elegantemente povero, con lunghi capelli biondi e lunghe mani delicate. Si avvicinò proprio a me, incurante delle presenze un po’ intimidatorie a cui non rivolse uno sguardo, e mi parlò con grande cortesia. Disse che lui veniva spesso in quella piazza e chiese se, la prossima volta che ci fossi venuta anch’io, poteva rivolgermi la parola. Un po’ interdetta, risposi di sì. E forse il giorno dopo, o quel pomeriggio stesso, tornai a piazza Navona da sola. Per comunicare al più compìto dei corteggiatori che mi sarei sposata due settimane dopo. Così rivoltammo l’avventura in amicizia, coinvolgendo il futuro – ma non più futuro – marito.

L’amicizia è durata per sempre, anche fra i due uomini, che risalirono la scala della loro vita e delle loro opere: l’uno nella filosofia, l’altro nella pittura.

Non voglio parlare della sua pittura, sebbene l’abbia guardata e amata per anni e un suo quadro -un paesaggio arioso e battuto dal vento- sia appeso a una parete di casa. Ma il pittore mi fece sempre l’impressione di un lago. Del lago aveva la trasparenza oscura e la calma. Quella sua deliziosa appendice, Laura, la bambina che lo seguiva, scoprii che l’aveva allevata lui, da solo, perché la madre era morta per un incidente, mentre si faceva un bagno nella vasca di casa, quando la bambina era nata da poco.

In seguito, Dieter regalò altre bambine ad altre donne. Tutte femmine.

Anche i suoi quadri avevano questa calma liquida e misteriosa.

Fece delle mostre, i suoi cataloghi contengono testi di Jean Clair, Giorgio Agamben, Giuliano Briganti, Antonello Trombadori, Mario Quesada.. Ed era, rarissimo fra i pittori stranieri, membro dell’Accademia di San Luca.

Dunque non fu non-riconosciuto, anche se negli ultimi anni visse grazie all’affetto e al sostegno dei suoi amici e amiche.

Perché allora la sua morte è così silenziosa? Anche più della sua vita. Di lui si sentiva soprattutto il silenzio, quando si avvicinava col suo passo che evocava il fruscìo di una barca. Eppure il suo silenzio bolliva. Ne uscirono testi polemici e infuocati; uno dei quali comparve nel catalogo della mostra alla Galleria Giulia di Roma del 1982.

Di un’amica, Josè Bergamìn diceva molti anni fa: “Ana era furiosa! E quando Ana è furiosa, non si sente niente”. Così era Dieter. I suoi testi volevano disgregare la pittura e la società contemporanea, rivendicando la figura contro l’astrazione, ma non solo. Contenevano una furia a voce bassissima. Mi propose di pubblicarli. Non lo feci. Non riuscivo a credere che da quel silenzio uscisse una vera battaglia fatta di materiali di guerra. Il mio pudore ne era offuscato, come se lo avessi visto improvvisamente traversare nudo una finestra. E perché non doveva silenziosamente spogliarsi? Ma non riuscii a credere alla sua battaglia come credevo alla sua pittura, alle mute ciotole sospese sulle tovaglie a quadri, alle liquide palme, ai paesaggi deserti, alle gambe aperte delle donne addormentate..

Ora vorrei bussare a quel silenzio. Vorrei riportare l’eco sonora del rumore alla sua porta.

Dieter? Ci sei?

gb


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