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  • bompiani

un due tre, Stella!




Stamani ho guardato il primo episodio della nuova serie Squid.

E ho capito una cosa: l’orrore che ci ha preceduti fino a qui, veniva da una perniciosa mancanza di immaginazione. Guardate Eichmann, guardate Rudolf Höss (autore di “Comandante ad Aushwitz”), guardate tutte quelle facce vuote, serie, tetre. Non c’è un lampo d’immaginazione. Oggi invece l’orrore è nel nostro immaginario. La nostra cultura non è solo immaginazione di malattia, solitudine e morte, è immaginazione dell’orrore. Come possiamo sfuggire alla tentazione?

La caratteristica della Shoà, come quella dell’Isis o di Al Qaeda, era l’odio, qualità opaca della mente. L’odio non immagina, non vede, ‘fabbrica’. E la fabbricazione è cieca.

Il ‘nostro’ orrore è privo di odio. Noi non odiamo i migranti, non odiamo i derelitti, non odiamo i civili stracciati dalle bombe, così come gli organizzatori dei ‘giochi’ di Squid non odiano gli sciagurati debitori che intrappolano in un gioco che costa loro la vita. Prima che il gioco abbia inizio, su un pannello a colori viene illustrata la vita di alcuni. Tutti la vedono e la immaginano, senza emozione.

Non produce odio e nemmeno paura. Produce eccitazione.

Immaginare provoca in noi un’eccitazione, piccola o grande.

Vedere una folla di disperati in vestito grigio avanzare sul terreno in un gioco infantile (un, due, tre, stella!), e, se si muovono dopo che la voce si è fermata, vederli crollare nel proprio sangue, mette una grande eccitazione. In chi? Non in chi partecipa, ma in chi guarda!

E non è questo lo spettacolo quotidiano che ci offrono gli schermi? Non vediamo ogni giorno uomini e donne arrampicarsi seminudi sulle montagne dei Balcani, per venire ricacciati indietro quando raggiungono la meta? O stipati in barche traballanti sul mare, agitare freneticamente le mani per chiamare i soccorsi? Li odiamo forse? Ma no! Vogliamo loro del male? Neppure!

Eppure.. Giorno per giorno guardiamo e immaginiamo, e questo riempie il nostro tempo.

La nostra vita è vuota, l’immaginario è pieno.



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